Il Rinoceronte governerà il mondo

 

Nell’eterna lotta tra l’Occidente che difende i propri privilegi e il Sud del Mondo che ambisce ad emanciparsi, si inserisce la storia di Zhang Li e del suo ambizioso e sconvolgente progetto: l’Intelligenza Artificiale non può essere chiusa in confini predefiniti.

Nulla sarà più come prima.


 

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50 Copie

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31 Marzo 2025

Consegna Prevista

Aprile 2025

Info Autore

Angelo Gatto

Angelo Gatto

Angelo Gatto è nato a Torino nel 1962. Dopo una laurea in Sociologia, ha dedicato la propria vita professionale all’educazione degli adulti. È fondatore di alcune aziende che si occupano di formazione permanente. Consulente aziendale, negli ultimi anni ha indirizzato i propri interessi allo studio dell’impatto dell’intelligenza artificiale nei diversi ambiti della vita. Il rinoceronte governerà il mondo è il suo libro di esordio.

Sinossi

Zhang Li, miliardario cinese, intraprende una sfida avvincente e ricca di colpi di scena per realizzare la sua visione del mondo, diversa da quella attuale.
Nel suo percorso è costretto a giocare partite pericolose, non solo con il potere politico e militare, ma anche con l’amata figlia Kumiko, desiderosa di una vita ben lontana da quella che il padre ha immaginato per lei.
Il fidato Chen, amico di gioventù, muove con arguzia i molti fili della potente organizzazione di Zhang.
La travolgente passione per l’affascinante Ludmilla Petrova mette in serio pericolo il successo dell’operazione.
Il genio scientifico del dottor Du Plessis guida l’esercito di scienziati e tecnici impegnati a rendere possibile un progetto in grado di trasformare gli equilibri mondiali.
AI specialistiche, interfacce neurali, computer quantistici, intelligenza artificiale generale (AGI), determinano il contesto del romanzo e, nel medesimo tempo, assurgono al ruolo di personaggi di una realtà che non ha nulla di fantascientifico.
Cina, Russia e Stati Uniti. La città Stato di Singapore e le megalopoli di Dubai e Mumbai. Le desolate lande del Myanmar e del Sudan. La Gran Bretagna e la vecchia Europa. L’intero pianeta è lo scenario in cui si dipanano le vicende dei personaggi del libro.

Anteprima

Zhang era assorto nella lettura di Etica Nicomachea, il libro nel quale Aristotele esplora il concetto di felicità e il ruolo della virtù nella vita umana. Attendeva l’arrivo del fido Chen e di Du Plessis nella sua suite all’ottavo piano del The Hay Adams. Era certo che Chen non avrebbe fallito, non lo aveva mai deluso in così tanti anni di lavoro comune. Aveva anche fatto portare dal The Lafayette, il celebre ristorante dell’hotel, una serie di piatti che erano tenuti al caldo sotto tre lampade riscaldanti mobili. Quando avesse avuto Du Plessis seduto davanti a lui, non voleva alcuna interruzione. Se Chen era l’incantatore, Zhang era il maestro degli incantatori.

Nonostante quel libro richiedesse la piena attenzione per comprendere nel profondo le parole di uno dei grandi maestri dell’umanità, Zhang era stranamente distratto. Quella sera doveva acquisire una delle tessere più importanti del suo puzzle. Mentre la sua mente saltava tra questi pensieri, bussarono alla porta e subito dopo Chen introdusse l’atteso ospite. Du Plessis, per quanto cercasse di darsi un contegno di superiorità, era visibilmente frastornato dal rapido susseguirsi degli avvenimenti di quella serata: era consapevole di trovarsi al cospetto di uno degli uomini più potenti al mondo, per quanto poco si sapesse di lui. Nessuna fotografia recente che lui ricordasse lo ritraeva. Fu così stupito nel vedere che era molto diverso da come se lo sarebbe aspettato, ovvero di statura bassa e un po’ rotondo come vuole lo stereotipo del cinese arricchito. Al contrario, si trovò di fronte un uomo sopra il metro e ottanta, con un fisico invidiabile per la sua età come lasciavano trasparire i muscoli delle braccia e delle spalle che segnavano la preziosa camicia di seta color blu notte. Soprattutto, andò a sbattere contro due occhi di acciaio che si ancorarono ai suoi mentre si alzava per dargli il benvenuto. Chen si avvicinò ad entrambi.

“Ciao Li, buonasera. Cameron, ti presento il signor Zhang, l’uomo che potrebbe cambiare la tua esistenza”. Ora, se permettete, so che avete cose molto importanti di cui discorrere e sono certo di non essere all’altezza di comprenderne il loro più intrinseco significato. Vi auguro pertanto una buona serata e mi raccomando di non sprecare la bottiglia di Chateau Lafite. Una volta si perdona il peccato, ma una seconda volta diventa imperdonabile”.

Rapidissimo, nonostante l’addome prominente frutto di anni di viaggi e vita goduta, Chen girò i tacchi e si dileguò. Fu compito di Zhang rompere l’imbarazzo del momento.

“Benvenuto. Sono molto felice che abbia accettato il mio invito e che noi due si possa condividere amabilmente alcune idee che, ne sono certo, ci accomunano”.

“Non so bene perché mi trovo qui e non so quanto ci rimarrò. Mi dica subito una cosa, signor Zhang: nel momento in cui decidessi di andarmene, lei me lo impedirebbe?”

“Assolutamente no – rispose Zhang senza distogliere lo sguardo, che rimase fisso sul suo interlocutore e non denunciò alcuna ambiguità -. Lei è libero di andarsene ora, come lo sarà in futuro, se decidesse di darmi fiducia e poi di revocarmela. Il cammino che vorrei fare insieme a lei implica una condivisione della visione del mondo: è una scelta che non si può imporre a un’intelligenza superiore come la sua. Ma la prego si accomodi, chiacchieriamo un po’”.

Credesse o meno alle parole di Zhang, Du Plessis parve rassicurato e prese posto nell’elegante salotto della suite, prima che Zhang riprendesse a parlare.

“Deve perdonarmi per averla fatta contattare da Chen ma devo ammettere che lui è molto più bravo di me nel trasferire i messaggi che ho bisogno che i miei ospiti colgano. Come certamente sa, sono uno spirito solitario che crede nella forza del lavoro e delle proprie idee. Il mondo a luci accese, che siano le feste del jet set o la presenza sui social, non fa per me. Mi annoia, lo trovo una perdita di tempo.”

“La capisco. Ma come può occuparsi di intelligenza artificiale e tenersi lontano dai social media? Sono la frontiera visibile alle masse del grande mondo governato dalle IA”.

“Non mi fraintenda. Quello che mi annoia è l’utilizzo comune che viene fatto dei social media. La voglia di apparire, di condividere ogni attimo della propria vita, di mettere in piazza le proprie debolezze. Quello che mi interessa è il sistema che sta dietro alle facciate, quello che governa e orienta a sua insaputa la massa di popolazione che si ritiene evoluta”.

“Non mi dirà che anche lei vuole fare come Zuckenberg, Musk o, per rimanere a casa sua, come Zhang Yiming? – sorrise Du Plessis, convinto di aver colto in fallo il suo interlocutore -. Spero non mi abbia chiamato per propormi di progettare un altro social, magari più luccicante degli altri”.

“Le chiedo di non offendere la mia intelligenza. Io le parlo di visioni a lungo termine, e lei mi parla di social? I social sono solo uno dei tanti elementi che intervengono nel disegno che ho in mente. Poi, detto tra noi, se davvero avessi voluto un social da governare a quest’ora le assicuro che lo avrei già. In ogni caso non ne ho bisogno visto che sono uno dei consiglieri fidati della commissione del partito che, con la dovuta discrezione, indica le linee guida che Tik Tok deve seguire, con buona pace del mio amico Yiming”.

“Mi scusi, non la seguo. Vuole spiegarmi cosa le passa per la testa?”

“Lei ha dedicato tutta la sua vita a studiare l’AI ma non si è limitato a produrre teorie e testi scientifici. Ha sempre tentato di mettere in pratica le sue idee per vederle realizzate, e questo ha fatto di lei una voce in grado di elevarsi dal coro. Io ho agito nella mia vita come lei. Ho lasciato che le mie idee mi guidassero, anche quelle che apparivano più improbabili, e con una tenacia indistruttibile ho fatto in modo che si realizzassero. La differenza tra lei e me è che ora io posso permettermi di finanziare qualunque progetto in cui creda mentre lei è costretto a riempire volumi di scartoffie per convincere qualcuno che ne sa molto meno di lei che quanto propone deve essere portato avanti. Quante volte si è sentito rispondere che non era eticamente ortodosso, che era prematuro, che il budget non lo permetteva?”

Du Plessis assentì tristemente con la testa. I suoi occhi rivelavano quanta sofferenza e insoddisfazione aveva dovuto ingoiare.

“La storia della scienza ci insegna tanto – proseguì con il suo tono ammaliante Zhang -. Quanti passi in avanti avrebbe fatto l’umanità se si fosse attenuta ai principi etici che dominavano il mondo di quel dato momento? Quanta arretratezza avremmo ancora se a guidarci non fosse stato il fuoco delle nostre passioni e della nostra intelligenza piuttosto che un colpevole ossequio al potere dominante, laico o religioso che sia? Quanti eretici, scomuniche, lapidazioni, incarcerazioni e torture deve sopportare l’umanità per vedere emergere la scintilla del progresso? Quante Kardashian può tollerare il genere umano prima di risvegliarsi da questa narcosi di massa che rende tutto uguale per coloro che se lo possono permettere, e dall’altro verso esclude e sopprime chi invece non ha i mezzi per arrivare anche solo a vivere una vita di finzione?”

Zhang ora era un fiume in piena. “Lei insegna a me che viviamo in un pianeta sempre più connesso, sempre più globalizzato. Ma cosa significano davvero questi luoghi comuni? Se lo è mai chiesto? Significano controllo. Controllo per fini commerciali, per fini sociali e politici, talvolta anche per scopi militari. La mitologia dei big data è un modo tecnico per dire che l’individuo del futuro deve essere conosciuto, orientato, guidato”.

“Quindi converrà con me – intervenne Du Plessis, sempre più coinvolto – che è corretto porsi il problema etico della regolamentazione di questi sistemi governati dalle intelligenze artificiali”.

Zhang sorrise.

“Non faccia l’ingenuo, perché so che non lo è. Regolamentazione? In un mondo globale e interconnesso? Con una miriade di giocatori in campo, molti dei quali senza scrupoli? Lei davvero crede che si potrà arrivare a un accordo per cui tutti potranno sfruttare al massimo le AI e al contempo vivere felici e contenti nelle proprie sicurezze? Non siamo più ai tempi in cui Kissinger e Gromyko si sedevano attorno a un tavolo e decidevano le regole del gioco per tutto il mondo. Abbiamo passato anni a reclamare più libertà delle idee, più democrazia diffusa, più accesso all’informazione per tutti, nel mondo. Bene, siamo giunti fin qua e ora che la tecnologia che noi stessi abbiamo generato ci permetterebbe di fare un passo ulteriore vogliamo fermarci per paura che qualcuno la usi impropriamente? Se dovesse accadere, cosa faremo? Organizzeremo una bella conferenza internazionale oppure manderemo i Navy Seals del caso a sistemare le cose? No, amico mio, il meccanismo è in moto e non può e non deve essere fermato. L’unica regola che vale è capire come governarlo davvero, e lasciare che ci trasporti in un futuro diverso”.

Du Plessis era visibilmente colpito da quelle parole. La lucidità di pensiero del suo interlocutore, l’autorevolezza con cui si esprimeva, i concetti che esponeva, tutto andava nella direzione delle sue più profonde convinzioni personali. In quel momento, Zhang rinvenne dal suo discorso.

“Mi perdoni, nell’enfasi del mio sproloquio ho trascurato anche le più banali regole dell’ospitalità. Chen l’ha trascinata via dalla sua cena e lei avrà fame: mi sono permesso di far preparare qualche piatto che spero possa gradire. Se mi segue possiamo spostarci nell’altra stanza per continuare a discutere mentre sopprimiamo il fastidioso impulso primitivo della fame. Le ho fatto preparare anche un paio di varietà di bunny chow”.

“Non sta scherzando, vero? Il bunny chow? Come fa a conoscerlo? È da quando ero bambino in Sudafrica che non lo mangio. È un cibo povero, che nasce in un’epoca della storia più buia del mio paese. Non è certo adatto a un tipo come lei che ha senza dubbio gusti raffinati e, soprattutto, se li può permettere”.

“Lei non può conoscermi così bene da sapere che anche io arrivo da un paese in cui la ricchezza non si osava neppure pensarla. Tra le cose che mi sono rimaste attaccate sulla pelle è il piacere di mangiare piatti semplici, che hanno una storia e che raccontano della cultura dei popoli che li hanno inventati. Sapendo che lei è sudafricano, ho fatto fare qualche ricerca e mi sono imbattuto in questo piatto meraviglioso. Sarei molto lieto di condividerlo con lei questa sera”.

Il bunny chow: una pagnotta di pane bianco tagliata a metà, svuotata della mollica che viene servita insieme alla pietanza intinta nel sugo, riempita fino all’orlo con curry di montone, pollo o gamberetti. Da mangiare con le mani, persino. Du Plessis ora aveva la certezza che quell’uomo non avrebbe desistito dal suo obiettivo di reclutarlo finché non lo avesse raggiunto. I due si spostarono nella sala da pranzo da dove si godeva di un invidiabile panorama sulla culla del potere americano. Du Plessis non si stupì più di tanto nel notare che non era presente personale di servizio; era chiaro che Zhang non voleva né interruzioni né orecchie estranee. Date le premesse, non degnarono neppure di un’occhiata le creazioni dello chef, tra le quali spiccava una colossale aragosta fatta arrivare espressamente dal Maine. Du Plessis si servì un bunny chow di montone che al primo morso lo pervase di nostalgia fin quasi alle lacrime, mentre Zhang optò per quello più digeribile cucinato con i gamberetti. Onorato con un rispettoso silenzio questo inaspettato regalo, Du Plessis diede l’implicita autorizzazione a Zhang di riprendere il filo del discorso.

“Se ho ben capito, lei immagina di poter governare l’impetuoso sviluppo dell’intelligenza artificiale. Come pensa che sia possibile dal momento che lei stesso dice che il campo da gioco è l’intero pianeta e che i giocatori sono innumerevoli, molti dei quali non conosciuti o imprevedibili nelle loro scelte?”

“Un uomo, per quanto potente, ricco e illuminato, non potrà mai pensare di governare il processo che è alle porte. Ma un’intelligenza artificiale sì, lo potrà fare”, disse Zhang come annunciando un evento ineludibile e già definito.

“Temo di non comprendere quello che intende dire”.

Per tutta risposta Zhang si alzò, si avvicinò a una piccola scrivania che si trovava nella sala e da un cassetto estrasse un fascicolo di modeste dimensioni che consegnò nelle mani di Du Plessis.

“Ho scritto questo documento tanti anni fa, in condizioni di spirito particolari. Si metta comodo e si prenda tutto il tempo che le occorre per leggerlo e rileggerlo. Se al termine della lettura non avrà ancora compreso quello che intendo, allora sarà libero di andarsene perché evidentemente non sarà l’uomo che sto cercando”.

Detto questo ritornò nel salotto adiacente, e riprese la lettura del libro di Aristotele. Uno sconcertato Du Plessis rimase seduto al tavolo. Prima sfogliò velocemente il plico che gli era stato consegnato: non più di una decina di pagine, scritte fittamente con una grafia che ben rappresentava il carattere dell’autore. Non era evidentemente un documento aziendale ma qualcosa di molto più intimo. Questo pensiero fece scorrere un brivido lungo la sua schiena. Con ogni probabilità stava per venire a conoscenza di segreti e pensieri intimi, e Zhang non dava l’impressione di accettare a cuor leggero un rifiuto, soprattutto quando si esponeva oltre un certo limite. Chiuse il documento e ricominciò dal titolo. Scritto in origine in lingua cinese, Zhang aveva avuto la compiacenza di tradurlo per il suo nuovo lettore.

“Rinascita. Un titolo, un programma. Cominciamo bene”, pensò tra sé e sé prima di immergersi nella lettura. Due ore trascorsero prima che lo scienziato chiudesse per la terza volta l’ultima pagina. Era esausto e sconvolto. Non aveva mai incontrato nessuno prima di quella sera che avesse una visione così nitida del futuro prossimo, che sapesse andare oltre le leggi della fisica e dell’informatica senza passare per un pazzo o per un pessimo autore di film di fantascienza. Non aveva mai incontrato nessuno che avesse saputo mettere in parole quello che lui pensava nella sua intimità, e che non solo non aveva mai avuto il coraggio di portare alla luce, ma che addirittura lo spaventava a morte.

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