Il male è solo un intervallo

Il coraggio di vivere, nonostante tutto.

 

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Prezzo: 14,00 (Iva Inclusa)

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Obiettivo Prevendita

50 Copie

Termine Prevendita

30 Aprile 2025

Consegna Prevista

Maggio 2025

Info Autore

Letizia Belotti Guizzetti

Letizia Belotti Guizzetti

Letizia Belotti Guizzetti, orgogliosamente bergamasca, è nata a un certo punto del secolo scorso e vive a Pavia.
Dopo un breve periodo dedicato all’insegnamento nei licei, ha fondato e diretto con successo un’agenzia di pubbliche relazioni e organizzazione di congressi
Ha frequentato a lungo l’atelier di un noto pittore, con risultati più che decorosi.
Ha girato molto il mondo.
Ha sempre amato davvero leggere e scrivere.

Sinossi

Nina nasce e cresce tra le campagne della bassa pavese in una famiglia amorevole che l’ha adottata dal brefotrofio. La sua vita scorre serena fino alla scomparsa del padre adottivo, finché, dal lavoro come sarta, la sua abilità e determinazione la guidano fino a Milano, dove costruisce una nuova vita con il marito ferroviere. Ma la guerra sconvolge ogni cosa: nel bombardamento del ’43 perde tutto. Eppure, con una forza straordinaria, si rialza e accoglie nella sua casa non solo la madre adottiva, ma anche quella naturale, ritrovata dopo tanti anni.

Dall’altra parte, Anna cresce nel lusso di una famiglia facoltosa, ma un incidente la rende sordomuta, isolandola dal mondo. Trova rifugio nella pittura, coltivata con passione sotto la guida di grandi maestri. Sposa un giovane docente e costruisce una famiglia, ma il destino le infligge un altro duro colpo: la morte improvvisa del marito. Disperata, ritorna dai genitori e cerca un nuovo equilibrio.

Le vite di Nina e Anna si incrociano grazie a un semplice abito da lutto, trasformando il dolore in opportunità. I disegni di Anna prendono vita grazie al talento di Nina, e il loro sodalizio le conduce fino a un’importante sfilata di moda al Teatro Nuovo di Milano.
Tra queste due donne straordinarie, Filippo, un uomo silenzioso e attento, sostiene e custodisce i ricordi di una vita.
Un romanzo emozionante che racconta il valore resiliente dell’amicizia e della rinascita.

Anteprima

1 

“Tace il labbro t’amo dice il violin…” 

Le note de ‘La vedova allegra’ si diffondevano all’alba dalla finestra della vecchia Rosa, l’infermiera che arrotondava la magra pensione curando tutto il vicinato. Nonostante fosse un po’ sorda, adorava l’operetta e faceva girare un vecchio grammofono ‘La voce del padrone’ a tutto volume. 

Dall’altro lato della cascina, che era già in piena attività alle sei del mattino, Angelica era rannicchiata nel suo letto di ferro con gli angioletti dipinti sulla testata. La vecchia trapunta giallo senape imbottita di lana grezza era ormai irrimediabilmente macchiata in vari punti, ma nella parte finale era coperta da un pizzo candido sferruzzato chissà quanto tempo prima da una sua nonna. 

Il calore dello scaldaletto di rame, riempito la sera con le braci del camino della cucina, se n’era andato da un pezzo, ma il freddo che la pervadeva non veniva dall’esterno: Angelica era agghiacciata dal terrore. 

Si tirò su a fatica. 

La vecchia camicia da notte di flanella, ampia e un po’ ingiallita, anche se scrupolosamente pulita, svolazzava attorno alle sue gambe snelle. Era mossa dalla brezza di aprile che entrava a spifferi dalle fessure della finestra con vista sulla campagna e sui prati coperti di brina. 

Non riusciva proprio a canticchiare, come faceva di solito, sul filo della musica di Rosa. Non quel mattino, perché i suoi pensieri erano bloccati, fissi su un unico, terribile problema. 

Però “sì è ver tu m’ami, sì sì Nino è ver”: questo non poteva fare a meno di sussurrarlo per tentare di consolarsi. 6 

Sciacquandosi il viso si guardò di sfuggita nello specchietto attaccato al portacatino. Grandi occhi, neri come i capelli ondulati dal taglio squadrato, secondo la moda, una bella bocca piena, solitamente sempre pronta al sorriso. 

Lei però non era quella di sempre, non solo per l’inconsueto pallore del suo viso affilato, ma soprattutto perché la “grande paura” era ormai una terribile certezza. Inutile sperare ancora e continuare a consultare il calendario contro ogni evidenza: c’era un bambino in arrivo. 

La voce della madre giunse perentoria dal piano di sotto: 

“Angè muoviti, fra poco parte la corriera e tu non sei ancora scesa!” 

“Arrivo, mà!” 

“Dai, che la colazione è pronta!” 

“Eccomi!” 

Non c’era più tempo per la cura dei dettagli, a cui solitamente teneva. Infilò con un solo gesto morbido il vestito blu a pois, dall’ampia gonna che le fasciava i fianchi e le accarezzava le caviglie. Al momento di allacciare la cintura di tela rigida, che aveva un solo gancio di chiusura, si accorse che non le andava più bene e la mise da parte. Una spazzolata ai capelli, un velo di rossetto chiaro, una giacca blu di lana sulle spalle e scese di corsa la vecchia scala di legno. 

Entrò nella grande cucina che fungeva anche da soggiorno, dove la stufa a legna in ferro nero con gli sportelli bianchi smaltati era in piena attività. 

La stanza era calda e accogliente: da un lato il lavandino di pietra e la madia per impastare, dall’altro una grande credenza azzurra con la parte superiore rialzata e chiusa da un vetro, da cui si 7 

intravedevano i bicchieri belli, quelli da non usare praticamente mai. 

Su tutto troneggiava un grande camino annerito dal fumo, con un paiolo di rame appeso a una catena proprio al centro. 

Il tavolone di legno era apparecchiato con la sua tazza bianca e blu già riempita di caffè e latte e accanto erano posate due grandi fette di pane fatto in casa. 

La ragazza intinse il pane nel latte, lo divorò in un attimo e con un “ciao mà” uscì di corsa, diretta verso la fermata della vecchia corriera per Milano. 

2 

Nella piazza del paesino della bassa pavese la corriera blu era già pronta alla partenza e l’autista, anche se conosceva ormai per nome i passeggeri abituali, non l’avrebbe certo aspettata. 

Angelica salutò con un cenno della mano i soliti viaggiatori dall’aria sonnolenta e distratta. 

Rocco, il meccanico, ogni volta riusciva a salire proprio dietro di lei e cercava di mettersi sul sedile accanto al suo. Questa volta, però, lei mise con aria risoluta la borsa sul secondo posto, scoraggiandolo, e fingendo di non accorgersi della sua aria delusa. 

Non che avesse mai azzardato delle vere e proprie avance, ma sicuramente le faceva gli occhi dolci, non perdeva occasione per un complimento e chiedeva da un bel po’ alle sue amiche di intercedere per lui. 

Mariuccia era proprio nel posto dietro di lei e la chiamò: “Angè…”, ma lei tagliò corto: “Mariù scusami, ho sonno.” 

Chiuse gli occhi e appoggiò la guancia al finestrino freddo e bagnato di condensa, cosa che di solito evitava per la sua mania 8 

della pulizia. I pensieri erano sempre gli stessi: “Nino, Ninuzzo, Ninetto mio, dove sei? Ti prego fatti vivo, dimmi come stai, dimmi che non sei sparito davvero dalla mia vita.” 

Nino, il più bello del paese, il più alto, il più forte, ma anche il più inquieto, il più scontento, il più insofferente, che voleva la rivoluzione, che era sempre in testa ai cortei rossi, con l’Avanti che sporgeva dalla tasca, che agitava le bandiere e protestava contro i padroni. 

Nino che sfogava la sua perenne rabbia nello sport, ed era sempre il primo. Ma che era capace anche di improvvise gentilezze, un fiore di campo o una carezza, e che con lei aveva sempre mostrato un lato dolce sconosciuto a tutti. 

Nino, che poi aveva deciso di lasciare il lavoro da contadino e di partire alla ventura, di andarsene in America in cerca di fortuna. 

“Vedrai, tornerò ricco come un principe e come i principi vivremo per sempre felici e contenti.” 

“A me basta averti vicino…” 

“No, voglio di meglio per noi” 

“Ma Nino, sarà difficile, sarà rischioso…” 

“Sta’ tranquilla, sai che me la so cavare!” 

“Ma mi darai subito tue notizie?” 

“Appena mi sistemo ti scrivo, ti racconto tutto quello che mi capita.” 

“Promettimi di ritornare presto!” 

“Certo! Vengo a prenderti, ti porto via da questo schifo di paese.” 

Intanto le aveva chiesto i risparmi che erano per il corredo e si era anche fatto prestare del denaro dai suoi zii, perché il costo del viaggio era davvero alto. 

Le aveva mostrato il biglietto del Piroscafo Duilio, della Navigazione Generale Italiana, che salpava da Genova per New 9 

York una volta al mese. Con il biglietto gli avevano dato anche un foglietto illustrativo che mostrava un grande atrio con vetrate colorate e saloni con boiserie e specchi enormi. Ovviamente quella era la prima classe, lui non l’avrebbe neppure vista: aveva prenotato una cuccetta in una cabina condivisa, sul ponte basso. Ma era felice. 

Erano ormai passati già quasi tre mesi dalla sua partenza, ma non aveva saputo ancora nulla di lui. Il fatto che nemmeno la madre avesse sue notizie, non una lettera, neppure una cartolina, tutto sommato le sembrava abbastanza consolante. 

“Tornerà, Nino tornerà, ne sono certa!” ripeteva fra sé e sé. 

Lei aveva qualcosa di molto importante da dirgli, qualcosa che non riusciva ancora ad ammettere del tutto neanche con sé stessa, ma che era purtroppo ben reale, ormai, e rendeva ancora più angosciosa l’attesa di notizie. 

3 

“Come ho potuto essere così sconsiderata?” si chiedeva. 

Non era la prima volta che loro due si rifugiavano nel fienile sopra le stalle, quello che si poteva raggiungere solo con la scaletta di legno a pioli e dove nessuno saliva mai se non di prima mattina, per lanciare sull’aia con il forcone il fieno necessario alle mucche per la giornata. 

Là potevano stare stretti stretti e baciarsi. Lui le piaceva tanto, le piacevano le sue mani impazienti che le accarezzavano prima il volto, poi arrivavano dappertutto, la riempivano di un languore mai provato. Ma lei aveva ben presenti gli ammonimenti del parroco: “È un peccato grave!” E soprattutto le risuonavano nelle orecchie i racconti delle amiche, su come bastasse poco per 10 

restare incinte e su che brutta fine facessero quelle che ci cascavano. 

Del resto, aveva visto anche lei come era finita l’Alba, quella della cascina Parezzi, che era stata allontanata da tutti, aveva dovuto abbandonare a chissà chi il suo bambino appena nato e adesso faceva la vita a Milano. Al paese nessuno l’aveva più vista, non avrebbe mai avuto il coraggio di ritornare. 

Ad Angelica no, sua madre non aveva detto mai niente, non una minaccia, non un avvertimento, perché non sospettava neanche lontanamente che lei si vedesse di nascosto con Nino, proprio quel poco di buono. Tantomeno poteva pensare che, invece di andare a far due chiacchiere da una delle sue amiche, dopo il lavoro lei andasse a incontrarlo su nel fienile. 

Non osava immaginare quale sarebbe stata la sua reazione o, peggio ancora, quella del suo burbero padre. 

Anzi no, la immaginava in continuazione di notte, quando non riusciva ad addormentarsi: una volta suo padre lanciava un grido strozzato e cadeva a terra stroncato da un infarto, come era successo al Luigi della cascina Colombarone qualche anno prima, quando gli avevano comunicato che suo figlio era morto in guerra. 

Un’altra volta le si avventava contro e la picchiava fino ad ammazzarla, e questa non era forse l’ipotesi peggiore. 

O ancora, urlava parole irriferibili e usciva nella corte, dove veniva circondato dai vicini attirati dalle grida e annunciava a tutti: “Mia figlia, la figlia di cui sono sempre stato orgoglioso, con i suoi modi eleganti e le sue mani curate, la signorina chic, è in realtà una grandissima puttana!” 

Certo, il giorno in cui Nino le aveva mostrato il biglietto della nave era stato impossibile dirgli ancora una volta di no. 11 

“Nino, ti amo tanto!” 

“Anch’io, Angè! Sei la mia donna!” 

“Nino, ho paura!” 

“Amò, non puoi dirmi di no! Voglio portare con me il ricordo del nostro amore.” 

“Ma non siamo sposati…” 

“Ma è proprio come se lo fossimo, lo sai…” 

Piangendo tutte le sue lacrime, si era lasciata andare, in un estremo tentativo di legarlo a sé un po’ di più e soprattutto di sentirlo un po’ più suo. 

E così, dimenticati condizionamenti e paure, aveva ricambiato con pari slancio la passione del suo uomo. 

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