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CAPITOLO 1
È una naturale prerogativa dell’essere umano quella di ricorrere all’addomesticamento dei luoghi e alla giustificazione di comportamenti e abitudini, mediante l’utilizzo di leggende, ricche di simbolismo, al fine di normalizzare e superare le difficoltà e le domande che, di volta in volta, si incontrano.
In questa sede sarebbe ozioso formulare nuove ipotesi geologiche e morfologiche del territorio, legate al drago e al suo habitat nei miti lacustri regionali, con lo scopo preciso e la pretesa di una riconversione scientifica da operare insieme al ridimensionamento storico dei miti che ne esaltano le credenze.
La finalità perseguita è invece quella di una raccolta delle fonti narrative pervenute, fino ad oggi, grazie alle testimonianze documentarie e ai racconti tramandati dalla tradizione.
Permane assodato che ogni fiaba e favola fantastica trova il suo fondamento in fatti accaduti, tratti da esperienze reali, trasformate poi in metafore attraverso l’elaborato intervento della saggezza popolare.
Queste deposizioni hanno subìto un processo di arricchimento immaginario poiché l’evento e i contesti sono stati “umanizzati”. Da calcolate espressioni e da fredde logiche, apparentemente insignificanti, possono derivare i modelli idealizzati da seguire, gli archetipi educativi, che le passate generazioni hanno ininterrottamente trasmesso e contribuito a far rispettare, conoscere e preservare, riuscendo così a mantenere una notevole e intatta eredità culturale.
La raccolta iconografica che Ulisse Aldrovandi (1522-1605), naturalista, botanico, entomologo rinascimentale, compose in tredici volumi dedicati alla storia naturale dei tre regni animale, vegetale e minerale, comprende migliaia di xilografie, disegni acquarellati e incisioni. La parte riguardante la zoologia consta di tre settori rappresentanti le immagini delle mostruosità naturali, dei serpenti spaventosi e degli immaginifici draghi. Le segnalazioni riguardanti questi ultimi fanno ricorso alla letteratura precedente, alla mitologia, alla tradizione orale, alle esperienze pervenute, nate dalle paure, dai sogni e dall’inconscio collettivo.
Le narrazioni riguardanti la figura del drago richiedono una necessaria apertura del campo visivo.
Il ristagno nei luoghi comuni sovente limita l’attenta osservazione introspettiva, e riserva alle valutazioni gli aspetti superficiali e retorici delle letture formali. Saper superare i consolidati timori, le diffidenze per le avventure del pensiero onirico può portare a scoprire nuovi orizzonti, ma è necessario, in via preliminare, aprire la porta al varco critico, seguire la scoperta di nuovi percorsi alternativi, affrontare sentieri poco esplorati, non abituali, eppure battuti e conosciuti in passato dai nostri lontani progenitori.
Occorre estendere le usuali facoltà intellettive.
Superare i luoghi comuni non significa abbandonarsi supinamente al seducente potere dell’immaginazione fantastica, bensì dare inizio ad un cammino inverso, inteso a favorire il ritorno a consapevolezze dimenticate.
Nascosta dietro la semplicità, tra i lacerti di tante leggende pervenute in modo frammentario, addomesticate dal tempo e ridotte dalla memoria, è ancor oggi possibile scoprire le tracce di una saggezza millenaria. Il ripristino e l’appropriazione di tali orizzonti apre nuovi spazi alla sapienza umana, consente naturalmente l’accesso alla migliore comprensione e al naturale superamento delle attuali angosce esistenziali, prodotte dal cambiamento climatico, dal sovrappopolamento, dal degrado ambientale, tutte cause derivanti da secolari tragitti percorsi con passiva indolenza, seguiti per convenienza o ingenua indifferenza.
Pur sopravvissute ai margini del folclore, scoprendo le saghe che raccontano l’epopea dei draghi, è facile imbattersi nei tesori di una saggezza antica, esercitata e attiva fin dall’alba dei tempi, costruita su fondamenta non basate unicamente sul metro dell’utilità, della quantità o dell’apparenza, ma fondanti sulle solide radici della spiritualità e del solidale. Questo percorso, confortato da rispetto naturalistico è volto a riscoprire le poche vie che ancora restano accessibili al raggiungimento di dimenticati sentieri della trascendenza.
Attualmente l’uomo è riuscito ad abbattere le frontiere dello spazio grazie a rapidi spostamenti terrestri che hanno consentito il superamento di ostacoli d’ogni tipo (naturali, politici) e dell’aria (diventando padrone dei cieli), marine (scoprendo le oscure profondità degli abissi), spaziali (viaggiando nell’universo alla volta dei più lontani pianeti). Tuttavia è rimasto intrappolato nella gabbia della sua materialità, e le barriere del transumano[1] costituiscono sempre un limite invalicabile contro cui si è scagliata senza risultati la tenace caparbietà moderna. L’aspetto scientificamente corretto, la logica della ragione pragmatica non hanno avuto la capacità di scalfire il mondo del sovrasensibile poiché non dispongono di mezzi idonei. Qui non si tratta infatti d’entrare in sintonia con elementi visibili e materiali ma di accedere a stati di conoscenza che si interfacciano con il campo della metafisica.
Se colui che sconfigge il drago è il guerriero paladino, l’atteggiamento dell’archetipo deformato nel colonialista e conquistatore dei secoli scorsi, non è la chiave adatta per aprire le porte che permettono l’avvicinamento a tali prospettive.
Necessita invece l’atteggiamento paziente e riflessivo di chi ha compreso che nel cosmo si muovono forze ignorate a cui apparteniamo, in quanto ne siamo la diretta derivazione. Non occorre solo saper vedere ma soprattutto è necessario avere una sensibilità percettiva sui segni che ci circondano, per aprirci alle vie di una comunicazione diretta.
I draghi, che per millenni hanno popolato l’immaginario comunitario, non sono riduttivamente frutto di esuberanti fantasie. Come riferisce F. Dacquì:
“Gli unici draghi veramente vissuti prima dell’uomo sono i dinosauri, la loro ipotetica conoscenza da parte umana, che preconizzava una necessaria origine più profonda, ha conservato l’immagine del dinosauro”.
I resti fossili dei sauropsidi, da soli, erano e sono in grado di poterne testimoniare l’esistenza. Le loro reliquie appese ai soffitti delle chiese, alla stregua di “mirabilia”, finivano per costituire l’odierna tipologia attrattiva dei “draghi-coccodrillo”. La ragione per cui il panorama folclorico e letterario riservato ai draghi sia giunto fino a noi in forma di metafore, ancora ricco di spunti, sta nel suo legittimare l’esistenza dei miti, in quanto mezzi di resistenza al terrore e alla disperazione provocati da avvenimenti naturali e storici. Lo scontro tra la convinzione di un perpetuo progresso e l’esistenza in balia della caotica casualità può risultare insopportabile e, in buona sostanza, privo di senso[2].
Stupisce come il mondo dei draghi sia da sempre riuscito a far presa e catturare l’interesse dell’età giovanile, infatti questa influenza viene spesso scambiata per sindrome di ingenuità mentre è invece naturale e curiosa consapevolezza. Il mito del drago, alla stregua di ogni altro mito, non va inteso nell’accezione usuale del termine di favola, invenzione e finzione bensì nel modo in cui è stato considerato nelle società arcaiche, cioè la rievocazione di una storia vera, esemplare e significativa, quindi soprattutto sacra.
Al contrario di molti, non meraviglia o desta sorriso, il pensiero che in pieno Rinascimento “egregie menti” (Macchiavelli, Aretino, Guicciardini ecc.) dedicassero tempo, studio e serietà nell’indagare la natura e il comportamento dei draghi[3].
Ogni interpretazione della realtà deriva da considerazioni che, bene o male, concorrono sempre a modificare la sequenza dei fatti accaduti. Quello che è reale nella contemporaneità, in precedenza veniva considerato irreale, poiché è la fantasia il motore che sorregge la scienza.
La parola mito, prima di venire deviata dal suo significato, ridotta a racconto puramente immaginario significava ciò che, non essendo suscettibile di espressione diretta, poteva invece essere inteso unicamente mediante una rappresentazione simbolica, sia essa verbale o figurativa.
In senso antropologico il mito va considerato alla stregua di una tradizione vera, di una rivelazione primordiale, un comportamento esemplare in quanto capace di fornire, a livello interpretativo, i modelli per l’azione umana e quindi in grado d’attribuire significato e valore all’esistenza stessa.
Come ricorda Eliade:
“Il mito narra una storia sacra; riferisce un avvenimento che ha avuto luogo nel tempo primordiale, il tempo favoloso delle origini … (ci insegna) come, grazie alle gesta degli Esseri soprannaturali, una realtà è venuta all’esistenza sia che si tratti di una realtà totale, il cosmo, sia di un solo frammento: un animale, un vegetale, un uomo… i miti descrivono le diverse, e talvolta drammatiche, irruzioni del sacro o del soprannaturale nel mondo… sono una storia sacra e quindi vera poiché si riferiscono sempre a realtà”[4].
La mitologia riecheggia quindi gli interventi di esseri trans-umani e la manifestazione della loro potenza diventa parametro esemplare a cui adeguare tutte le attività umane più significative. Esaminando e riassumendo le modalità di tale esperienza, nel modo in cui è stata vissuta dalle società arcaiche, essa risulta composta:
– da una serie di atti compiuti da personaggi straordinari.
– È una storia considerata vera poiché si riferisce a realtà precise e sacre, messe in opera da eccezionali protagonisti.
– Si tratta di una creazione che racconta un avvenimento accaduto in “illo tempore” che, adattato e portato a compimento, è diventato paradigma di ogni altro atto umano significativo.
– Conoscendolo si arriva a comprendere l’origine delle cose, a padroneggiarle, a condizionarle. Non si tratta di una conoscenza astratta e non razionale, ma di avvenimenti che vengono rivissuti attraverso il rituale celebrativo delle vicende iniziali.
– Il mito vive attraverso la riattualizzazione di una esperienza religiosa che si distingue dall’esperienza ordinaria seguita nel corso della vita quotidiana.
È in questa commistione tra sovrannaturale e quotidiano, nel suo rapporto simbolico, epico e narrativo, che questo volume indaga le storie del drago, cercando una prospettiva antropologica e letteraria che unisca questi racconti senza tempo.
[1] Affrancato dalle condizioni specifiche proprie allo stato umano.
[2] M. ELIADE, Il drago e lo sciamano, in Spezzare il tetto della casa, la creatività e i suoi simboli, Jaca Book, Milano 1997.
[3] U. ALDROVANDI, Mostri, Draghi e Serpenti, a cura di E. Caprotti, Ed. Mazzotta, Milano, 1980.
[4] M. ELIADE, Mito e realtà, Ed. Rusconi, Milano 1974, p. 10.